Dalle CISTERNE ROMANE di TODI (seconda metà del I sec. a.C.)

al POZZO di SAN PATRIZIO a ORVIETO (Rinascimento, 1527) fino

alla DIGA del LAGO di CORBARAParco fluviale del Tevere (inizio

anni ’60 del Novecento) ...

piccolo giro in Umbria sulle tracce del bene più prezioso :

l’ACQUA.





POZZO di SAN PATRIZIO : gioiello di ingegneria idraulica sulla rupe di ORVIETO, un unicum nel suo genere.

 

 

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L’opera venne commissionata nel 1527 dal pontefice Clemente VII, il quale si era rifugiato ad Orvieto in seguito al rovinoso “sacco di Roma”.

Con l’obiettivo di assicurare l’approvvigionamento idrico della Fortezza Albornoz in caso di assedio, il pontefice commissionò l’ambizioso progetto ad Antonio da Sangallo il Giovane, il quale dimostrò tutta la propria abilità di artista rinascimentale.

 

 

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Il pozzo ha una profondità di ben 53 metri per un diametro di 13 ed è posizionato all’interno della Fortezza nel luogo in cui sarebbe stato strategicamente più semplice raggiungere la falda acquifera.

L’eccezionalità del progetto sta nella trovata del Sangallo di realizzare due monumentali scalinate elicoidali (sul modello della scala a chiocciola di Villa Belvedere in Vaticano) che non si incontrano mai, ognuna delle quali composta di ben 248 scalini, finalizzate a garantire lo spostamento delle bestie da soma utilizzate per il trasporto dell’acqua, senza che queste si scontrassero nei due sensi di marcia.

Oggi la suggestiva scalata è visitabile e percorribile dai turisti che vogliano godere di uno spettacolo senza paragoni. I corridoi delle scale sono illuminati da 72 finestre che danno all’intera struttura un’atmosfera suggestiva.

 

 

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Inizialmente noto come Pozzo della Rocca, venne ribattezzato con l’appellativo di San Patrizio per volere dei monaci del vicino convento dei Servi, i quali assimilarono la struttura orvietana al famoso pozzo del santo irlandese, da cui si raccontava che si potesse discendere fino al Purgatorio.

 

 

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LAGO di CORBARAParco fluviale del Tevere

Il lago è un bacino artificiale costruito lungo il fiume Tevere all’inizio degli anni ’60 per fornire energia idroelettrica alla zona circostante e per l’irrigazione dei campi. Prende il nome dalla frazione di CORBARA, nel comune di Orvieto. Si estende per circa 13 km2 ed è profondo tra i 30 e i 40 metri.

Nasce da una DIGA di sbarramento di circa 640 metri che ha permesso di incanalare in parte l’acqua del fiume in condotte forzate che alimentano la centrale idroelettrica di San Lorenzo di Baschi.

 

 

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Prima di immettersi nel lago, le acque del Tevere scorrono tra le dorsali dei Monti Peglia e Croce di Serra, dando origine alle Gole del Forello, tra Todi e Orvieto, che fanno parte del Parco Fluviale del Tevere assieme al lago stesso.

La zona è mèta escursionistica per bellezze naturali come la Grotta Bella o le Grotte della Piana ed interessanti edifici storici, tra cui l’Eremo della Pasquarella - un monastero appartenuto alla Confraternita camaldolese dell’Ordine di San Benedetto nel XI secolo - e il Convento francescano di Sant’Angelo di Pantanelli.

L’habitat naturale attorno al Lago di Corbara è un importante sito di protezione per la fauna selvatica. Vi trovano rifugio molte specie di uccelli acquatici tra cui il cormorano e lairone e di animali come daini, cinghiali e caprioli.

Il Lago di Corbara è anche una popolare destinazione per la pesca sportiva, essendo pieno di pesci come trote e carpe.

 

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Vista del Lago di Corbara dal Castello di Titignano

 

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CISTERNE ROMANE di TODI : grande monumento di ingegneria idraulica al di sotto dell’area pubblica di età romana (forum), oggi Piazza del Popolo.

Due grandi cisterne gemelle vennero realizzate nella seconda metà del I sec. a.C. quando Todi divenne una colonia romana col nome di Iulia Fida Colonia Tuder.

Analoghe per struttura e dimensione, hanno una pianta rettangolare (50x8m) suddivisa internamente da dodici ambienti comunicanti (3,5x8m)

Quest’opera di ingegneria idraulica, che serviva a rifornire di acqua il colle, forma il ricco patrimonio sotterraneo della città, costituito da una fitta rete di pozzi, gallerie e cisterne di ogni epoca. Coeve alla sistemazione della piazza forense, subirono un primo intervento di restauro databile all’inizio del II secolo d.C.



La cisterna orientale sotto la piazza e Palazzo dei Priori (1800 m3) - il cui accesso è consentito solo agli speleologi dai tombini – presenta un rivestimento in blocchetti di calcarenite con fasce orizzontali in laterizio (opus mixtum).

La cisterna occidentale sotto la piazza e Corso Mazzini (1700 m3) è visitabile per quattro ambienti.

 

 

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In mostra permanente l’arte contemporanea di Fabrizio Plessi. Quattro grandi ledwall verticali dove il tema dell’acqua ritorna secondo un intento di ricostruzione storica dell’antico suo tragitto per l’approvvigionamento della città.



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L’orografia di TODI (sulla sommità del colle) non permise ai Romani di

realizzare ACQUEDOTTI come a SPELLO, ASSISI, NARNI (della Formina),

SPOLETO (di Cortaccione) …

 

 

La tecnica edilizia inventata e ampiamente utilizzata dai Romani è l’opus caementicium - malta di calce e frammenti di calcarenite da “gettare” entro cassaforme lignee.

 

La tecnica costruttiva strutturale delle CISTERNE è quella

dell’opus signinum, dal nome della città di Signia, l’odierna Segni.

Per garantire l’impermeabilizzazione necessariaalla malta veniva aggiunta tritatura di laterizi e quindi eseguita la battitura con mazzeranghe per ottenere una vera e propria muratura molto compatta.

 

 

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Lopus signinum non va confuso con il cocciopesto, materiale edilizio utilizzato come rivestimento impermeabile per cisterne, terrazze, zoccoli di pareti, ambienti termali, e come pavimentazione. Aveva scopo di protezione contro l’umidità.

 

È composto da frammenti di laterizi (tegole o mattoni) minutamente frantumati e malta fine a base di calce aerea. Si posa in diversi strati, caratterizzati da diverse granulometrie, che vengono battuti e bagnati diverse volte.

La tecnica era conosciuta dai Fenici, come testimoniano ad esempio i pavimenti dei siti archeologici di Tell el-Burak in Libano, più tardi a Selinunte e Solunto in Sicilia, ma fu perfezionata dai Romani che utilizzavano il cocciopesto come impermeabilizzante (rivestimento di fondo e pareti di vasche in muratura o di cisterne), così come lo descrive Vitruvio, oppure come materiale di pavimentazione, in cui la malta faceva da matrice a tessere di mosaico disposte in vario modo o a frammenti di marmi bianchi o colorati, e comunque in alternativa alla pozzolana come malta idraulica anche, sempre secondo Vitruvio, per intonaci.



La piccola cisterna dei Voltoni (Portici Comunali) sotto il Palazzo del Capitano e via San Bonaventura (500 m3) è ancora oggi piena di acqua (3 ambienti su 4) per alimentare il sistema antincendio dell’edificio sovrastante. E’ rivestita di cocciopesto.



Nelle altre due cisterne (orientale e occidentale) il rivestimento in cocciopesto è presente solo su alcune parti dei muri perimetrali e sul pavimento.

La copertura a volta dei singoli ambienti è realizzata con l’ausilio di centine lignee.

 

 

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Nelle CISTERNE ROMANE veniva convogliata l’acqua dai tetti degli edifici affacciati sul foro tramite discendenti in terracotta.

Successivamente abbandonate, se ne ritrova notizia in una Cronaca dei Podestà del 1242 : < forno retrovate le cisterne et mattonata la piaza >

Le conserve idriche vennero dotate di un nuovo sistema di approvvigionamento collegato ai tetti degli edifici della piazza (Cattedrale e Palazzo del Popolo).

Nel 1290 venne abbandonata per esubero la cisterna occidentale, riscoperta e restaurata soltanto nel 1880 durante la ripavimentazione della via Salara (attuale corso Mazzini).




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Reportage fotografico by Barbara CARICCHI e Mauro DRAGONI

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